Una domenica pomeriggio da “cicloturista infortunato” – di Evangelista Basile

Una domenica pomeriggio da “cicloturista infortunato” – di Evangelista Basile

Infortunio: la parola che fa paura a chiunque pratichi un pochino di sport, a tutti i livelli. Probabilmente la mia stagione agonistica è finita; anzi, a dire il vero non l’ho neppure iniziata.

Ma sono abituato a pensare positivo, quindi mi chiedo che cosa ci sia di buono nel non potermi allenare e partecipare alle gare di triathlon che mi piacciono. Beh potrei per esempio liberare del tempo per il lavoro: ma le 12 ore al giorno – e qualche notte intera – che gli dedico mi appaiono sùbito già più che sufficienti.  Potrei praticare di più il windsurf che ultimamente ho un po’ trascurato. Oppure imparare con mio figlio il wing-foil; anzi imparare da mio figlio, che ormai è diventato un maestro con quell’attrezzo strano che vola sopra l’acqua.

Mentre vedo scorrere nella mia mente questi pensieri in una domenica pomeriggio nella quale faccio fatica a tirarmi su di morale, mi arriva alle orecchie il suono familiare di una notifica wapp. Temendo sia una nuova bega di lavoro (a noi avvocati non è dato conoscere il riposo della sacra domenica), indugio a guardare il mio I-phone. Poi mi faccio coraggio e lo sbircio: e invece è un amico – modenese (la terra di mia nonna paterna) – che mi chiede informazioni su un percorso in bici in Toscana. Sto per rispondere senza troppo riflettere, poi mi blocco e mi illumino. Ecco un lato positivo degli infortuni!

Apro il cassetto e ci butto dentro il garmin e il computerino che segna watt, cadenza e altri dati da maniaci esaltati. Per un bel po’ non mi serviranno. Prendo invece con me il mio I-phone che sa fare delle bellissime foto e mi travesto da ciclista; il medico dice che qualche giretto in bici non impegnativo lo posso fare (la corsa no), senza esagerare. Insomma, posso fare il cicloturista, senza dover fingere di essere un atleta.

E allora invece di dare informazioni all’amico emiliano sui soliti noti percorsi bici della Toscana, decido di fargli un reportage della mia terra: delle zone intorno alla città di Livorno.

Salgo sulla mia fida Trek, esco dal garage e imbocco subito il lungomare lasciandomi dietro l’Hotel Universal e l’unico arenile cittadino, i Tre Ponti. Direzione? A caso. Decido di non decidere. Improvviso e vado intanto a sud.

E con le prime pedalate penso che un reportage fotografico farà bene alla mia città, che ha bisogno di essere promossa e pubblicizzata. Ma non sono arrivato neppure al castel Boccale, che si erge sui primi scogli piatti del Romito, quando mi assalgono i dubbi. Ma la mia città desidera essere promossa? Perché, pensandoci bene, ho l’impressione che lei – Livorno – si senta bene così com’è. Non mi pare ansiosa di essere inondata di forestieri.

L’ho lasciata ben volentieri ai tempi dell’università perché la odiavo. Troppo piccola, troppo indolente, troppo immobile Livorno. Ma a quell’età qualunque città natia appare così. Un diciottenne si sente cittadino del mondo e guai se non provasse questo sentimento di onnipotenza. Ovviamente, nei tanti anni – più di venti – vissuti lontano da Livorno, non ho mai smesso di amarla; e neppure di odiarla.

Poi ci sono tornato con la famiglia, per caso dico io. O forse il caso l’ha un po’ pilotato la mia coscienza. Chissà.

Insomma, è così indolente Livorno che non sono sicuro valga la pena promuoverla. Un mio caro amico, venendomi a trovare dalla Puglia, mi ha dato qualche tempo fa una definizione di Livorno illuminante: la tua Livorno – mi ha detto – è autentica e refrattaria. All’inizio la città non gli era piaciuta, anche perché lo avevano fatto alloggiare nella parte più brutta (che non menzionerò per rispetto del quartiere) e poco aveva visto. Poi frequentandola meglio e scoprendola, a poco a poco se ne è invaghito e ha coniato per lei questo aggettivo che condivido in pieno: refrattaria. In senso positivo. L’ha paragonata ad altre città, magari più belle, che però col tempo avevano perso la loro personalità. Invece Livorno gli è parsa autentica, perché refrattaria al cambiamento.

Del resto, una città – come la nostra – che non vuol essere dinamica ed è refrattaria al cambiamento: lo è nel bene e nel male. Ce la teniamo così, con i suoi pregi e i suoi difetti.

Intanto mi sono già fermato sul Romito a fare le foto alla Cala del leone, al Castel Sonnino e adesso alla baia che precede Castiglioncello.

Bello potersi fermare in bici senza pensare di sporcare la velocità media, senza dover bloccare il garmin (nel cassetto, perché anche lui deve subire il mio infortunio e soffrire come faccio io) o preoccuparsi di tornare a casa con una media watt da bonoanasega (come direbbe il mio Presidente). Ma non posso far vedere al mio amico solo il mare, che è troppo scontato.

Da Castelnuovo inforco il bivio per la mia strada preferita, quella con asfalto nuovo e veloce che porta al Gabbro o ancora a Nibbiaia: di fatto si chiude un anello, rimanendo sempre in quota. L’asfalto è così bello che lo fotografo per il mio amico, perché su questa strada quando verrà a trovarmi lo sfiderò in bici, penso. Se l’infortunio mi lascerà in pace, mannaggia.

Decido di chiudere l’anello e scendo di nuovo da Nibbiaia, perché le strade fatte in bici dalla parte opposta sembrano diverse. Dipende dalla diversa prospettiva. E infatti vedo altri panorami e siccome siamo già nel tardo pomeriggio, il sole incomincia a distendere la sua luce in mare. Altre foto. Ma chi ce l’ha posti così belli vicini a casa!

Appena sceso da Nibbiaia, passo Chioma e salgo di nuovo per il Castellaccio, in direzione del Santuario di Montenero.

La ragione ufficiale che mi do è che devo fare le foto al Santuario per il mio amico modenese, ma la verità – che solo io so – è che chiederò, passando, alla Madonna di Montenero di aiutarmi a guarire dall’infortunio. Forse sono un po’ blasfemo. Non so. Comunque io un aiuto lo chiedo.

Ma la salita del Castellaccio fa venire brutti pensieri. Domani torno a Milano. Eh già, perché io lavoro durante la settimana a Milano, come il mio amico modenese. E nei giorni centrali della settimana mi alleno – anzi, mi allenavo quando non ero infortunato (maledetta gamba!) – al piano meno 2. Sì, perché quando arrivo nell’atrio che mostra l’insegna della palestra, schiaccio il pulsante dell’ascensore -2. Per trovare tanto spazio a Milano si deve andare sottoterra. Al piano -2 corriamo come criceti sul tapis roulant, nuotiamo in piscina e pedaliamo sulla cyclette. Secondo me siamo degli eroi. Meritavo di non infortunarmi anche solo per questa dedizione al sacrificio.

Al piano -2, sotto terra, in pieno centro a Milano, passa sfiorando la piscina la metropolitana. La si sente bene sfrecciare, perché trema tutto.

Ogni tanto penso che potrebbe succedere come in quei film americani di azione: mentre nuoto sprofonda il pavimento della piscina, vengo risucchiato e finisco dentro il vagone della metropolitana insieme ai pendolari che tornano a casa dopo una intensissima giornata di lavoro. Talmente stanchi, stressati e immersi nei loro pensieri che – nella mia fantasia – immagino neppure si accorgano che tra loro è precipitato uno in costume, bagnato fradicio, con gli occhialini e la cuffia della Livorno Triathlon. A quel punto, cosa faccio? Scendo alla prima fermata e torno a casa di corsa: si chiama Aquathlon. Sì sì dottore, ovvio, corro a casa solo se non ho più dolore all’inguine. L’infortunio mi condiziona anche nei sogni.

Nel frattempo sono arrivato al Castellaccio, sulla sommità.

Foto per l’amico.

Scendo e imbocco una delle strade più belle della città, che giustamente ha il nome di un poeta che si abbina perfettamente alla bellezza della via: Byron.

Arrivo in piazza del Santuario di Montenero e faccio qualche scatto per concludere il mio reportage fotografico. Ormai il giro è quasi finito, devo solo scendere dalla via panoramica e raggiungere la mia casa ad Antignano, di nuovo sul mare.

Caro amico, questa è la mia città. Guarda le foto e trova il tempo per venirci a trovare; ti organizziamo un bel giro in bici e un pasta party con “cinque e cinque”. Poi con calma ti spiego cos’è.     

Serena Rossi

2 commenti

Annalisa Scritto il22:34 - 12 Giugno 2023

Bello Evangialista, è un viaggio che fa sognare e sperare in una sicura ripresa.
Io lo chiamerei viaggio rilassante
Da una tua amica
Annalisa

Andrea Scritto il10:59 - 13 Giugno 2023

Bellissimo reportage, bravo Evangelista! E forza per il tuo infortunio, passerà e tornerai più in forma di prima!